Tempo di lettura: 7 minutes

La Resistenza italiana

La Resistenza italiana si inquadra nel più vasto movimento di opposizione al nazifascismo sviluppatosi in Europa, ma ha caratteristiche specifiche.
Nei paesi sconfitti militarmente e occupati dai nazifascisti (es. Francia, Belgio, Danimarca, Olanda, Norvegia, Grecia, Jugoslavia, Albania), la Resistenza costituisce lo sviluppo principale delle operazioni belliche.
L’Italia è, perciò, innanzitutto una delle potenze contro le quali si sviluppa la Resistenza delle popolazioni soggette all’Asse. Fino all’8 settembre 1943 il paese resta il principale alleato del Reich, e come tale partecipa alla guerra di aggressione e all’occupazione, non di rado brutale, dei territori invasi.
La Resistenza italiana si sviluppa perciò solo a partire dall’estate 1943, dopo il crollo del fascismo e la stipula dell’armistizio con gli anglo-americani. Le forze politiche antifasciste (comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali, demolaburisti) danno vita, già il 9 settembre 1943, al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che nei 20 mesi successivi sarà guida politica e militare della lotta di Liberazione.
I tedeschi, all’8 settembre, occupano gran parte del territorio nazionale. Nei giorni immediatamente successivi all’armistizio disarmano e catturano, sul territorio metropolitano ed estero, circa 800.000 soldati italiani, perlopiù lasciati senza ordini e direttive dal re Vittorio Emanuele III, dal governo del maresciallo Badoglio e dai vertici delle forze armate. Alcuni reparti organizzano tentativi di Resistenza, che si concludono però tragicamente. La gran parte degli uomini, deportati nei lager, sarà protagonista della “Resistenza disarmata” dei cosiddetti internati militari italiani.
Il movimento di Resistenza è animato da forze eterogenee, diverse tra loro per orientamento politico e impostazione ideologica, unite tuttavia dal comune obiettivo di lotta contro il nazifascismo, per la liberazione del paese dal nemico straniero e da quello interno. Partecipano alla lotta militari e civili, persone di ogni età, censo, sesso, religione, provenienza geografica e politica. La Resistenza è guidata da personalità di spicco dell’antifascismo, che hanno avversato e combattuto il regime durante tutto il ventennio, spesso pagando con il carcere, il confino, l’esilio.
Accanto a loro, vi sono i militari che hanno fatto esperienza diretta della rovinosa guerra del regime, giovani e giovanissimi che rifiutano l’arruolamento nelle file del nuovo fascismo repubblicano e che, di fronte alla durezza dell’occupazione tedesca, scelgono la via dell’opposizione e della lotta. Il movimento è fortemente unitario, pur mantenendo ogni forza partecipante la propria specificità e la propria visione politica. Talune contrapposizioni iniziali vengono superate e accantonate nel corso della guerra, per dare spazio, sul piano politico e su quello militare, a larghe intese che consentono di definire obiettivi comuni e di sviluppare un coordinamento sempre più puntuale, efficace e incisivo. Il CLN organizza comitati militari che assumono la responsabilità dell’organizzazione delle forze che vanno raccogliendosi in città e in montagna. Si tratta, naturalmente, di uno sviluppo complesso e difficile, sovente frammentario; la spontaneità di molte iniziative, le condizioni di clandestinità e segretezza in cui si deve operare, le difficoltà di collegamento, l’aleatorietà dei contatti, la scarsità di mezzi, i duri colpi inferti dai nazifascisti, tutto mette a dura prova l’impegno delle forze patriottiche. Sin dall’inizio, i nazifascisti scardinano centri politici e operativi, catturando e torturando membri e responsabili del movimento, e con estesi rastrellamenti attaccano in montagna i primi nuclei armati e le prime bande partigiane. Ciò malgrado, il movimento di Resistenza si consolida e si estende, radicandosi gradualmente sul territorio, trovando consenso e sostegno in gran parte della popolazione, e così reggendo alla prova dei tanti arresti, delle torture, delle deportazioni nei lager, delle fucilazioni, delle rappresaglie sui civili.
Regione per regione, zona per zona, la presenza delle formazioni partigiane nelle vallate e sulle montagne si fa, con il passare dei mesi, sempre più massiccia, e dalle bande iniziali si passa a ben organizzate brigate (le “Garibaldi”, le “Giustizia e Libertà”, le “Matteotti”, le “Mazzini”, le “Autonome”, etc.) mentre nelle città prendono vita le SAP (Squadre di Azione Patriottica) e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), dediti a operazioni di reclutamento e propaganda, sabotaggio, guerriglia urbana. La lotta è sostenuta da importanti strutture politiche quali i Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e il Fronte della Gioventù (FdG).
La Resistenza, fenomeno nazionale, si sviluppa in ogni area del paese, secondo le modalità e i tempi a disposizione. Nata da scelte personali con un’ovvia ricaduta collettiva, è una guerra che contiene in sé una pluralità di espressioni: è innanzitutto lotta armata e politica, organizzata in maniera strutturata o nata dall’esigenza del momento; è opposizione civile, spesso disarmata, ma fondamentale nel suo affiancarsi alla Resistenza militare; è “passiva”, ma non per questo meno necessaria, come quella degli internati militari che rifiutano l’adesione alla RSI e al Reich; è “militare” anche perché combattuta pure dai militari, sia nella fase immediatamente successiva all’armistizio, sia nei periodi successivi, quando le forze armate vengono riorganizzate dal Regno del Sud e danno vita al Primo Raggruppamento Motorizzato, al Corpo Italiano di Liberazione e poi ai Gruppi di Combattimento.
Già nei primi giorni dopo l’8 settembre 1943 si verificano scontri: si tratta perlopiù di azioni estemporanee e votate all’insuccesso vista la sproporzione di forze e d’armamento (oltre all’episodio di Porta San Paolo, a Roma, avvengono scontri in Piemonte, Sardegna, Toscana, Abruzzo, Campania etc.); sono, tuttavia, il segnale di uno stato d’animo e di una volontà che vanno diffondendosi tra la popolazione. A questa prima fase resistenziale appartengono episodi importanti come l’insurrezione di Matera, la difesa di Bari, le Quattro Giornate di Napoli. In quest’ultima città la popolazione riesce ad avere la meglio sulle truppe tedesche e si libera prima dell’arrivo delle forze alleate. Di lì in avanti, il movimento di Resistenza si dispiega, vanamente contrastato, con determinazione e ferocia, da nazisti e fascisti.
I nazifascisti si oppongono alla Resistenza, che li minaccia con azioni di guerra, guerriglia e sabotaggi, scagliandosi non solo contro i combattenti, ma anche contro le popolazioni, che rappresentano un bersaglio più semplice: rappresaglie ed eccidi si moltiplicano e riguardano tutto il territorio nazionale (cfr. l’Atlante delle stragi naziste e fasciste all’indirizzo http://www.straginazifasciste.it/).
Responsabili di una violenza così diffusa non sono però solo i tedeschi (le SS e la Wehrmacht) ma anche i fascisti della Repubblica Sociale Italiana, che spesso agiscono in modo autonomo. Il fascismo repubblicano è responsabile dello scatenamento di una feroce guerra civile, che è anche una delle anime della Resistenza italiana.
Superando prove durissime e benché colpito da perdite dolorose, il movimento di Resistenza continua a svilupparsi. Nel marzo 1944, al Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), che opera nelle regioni settentrionali occupate dai tedeschi e ha sede a Milano, vengono attribuiti i poteri di “governo straordinario”: esso è quindi riconosciuto quale rappresentante politico dell’Italia settentrionale. Le varie formazioni militari partigiane sono coordinate, nel giugno 1944, nel “Corpo Volontari della Libertà” e, nelle diverse regioni e zone operative, sono istituiti comandi militari regionali, a stretto contatto con i CLN locali, e comandi zona in area di operazioni.
Nella primavera-estate del 1944, dopo lo sfondamento alleato della linea Gustav e l’avanzata anglo-americana nell’Italia centrale, ampie zone del territorio settentrionale sono sottratte all’occupazione tedesca e fascista: sorgono così le “Zone Libere” e le repubbliche partigiane come quelle di Montefiorino (Appennino modenese), della Val Trebbia (Liguria, Emilia Romagna, Lombardia), della Val Ceno (Emilia Romagna, Appennino Ligure), della Val Taro (provincia di Parma). In autunno, invece, è il momento del Piemonte, dove sorge la Repubblica dell’Ossola, ma altre zone libere sono nelle Langhe e in Carnia. I governi democratici provvisori delle repubbliche non possono reggere a lungo, poiché i tedeschi scatenano nei loro confronti offensive pesantissime costringendo i partigiani ad abbandonare paesi e vallate per ripiegare sulle montagne. Qui vengono continuamente attaccati, soprattutto dall’inverno 1944-1945, quando l’avanzata alleata si arresta sulla linea Gotica.
Dopo una fase di grandi difficoltà, dovute soprattutto all’assenza del sostegno alleato, nei primi mesi del 1945 le formazioni partigiane tornano alla piena efficienza e, ormai bene armate, anche grazie ai “lanci” di armi effettuati dagli Alleati, sono in grado di riprendere l’offensiva. Nella primavera del 1945, con lo sfondamento sulla Gotica, l’attività partigiana va sempre più intensificandosi. Il 25 aprile 1945 il CLNAI ordina l’insurrezione generale, durante la quale i partigiani affluiscono nelle città, si uniscono ai combattenti locali, e liberano il Nord Italia.

25 Dicembre 2010 — aggiornato il 16 Giugno 2016

La Resistenza del Mezzogiorno

Il meridione d’Italia partecipò alla lotta di Liberazione in due modi: con episodi di ribellione e resistenza avvenuti nei territori delle regioni del Sud, inquadrabili cronologicamente in quella che è stata definita la prima Resistenza; con la presenza attiva di tanti meridionali nelle formazioni partigiane operanti nel centro e nel nord Italia, oppure all’estero (negli episodi riferibili alla Resistenza dei militari oppure, direttamente, all’interno dei movimenti di Liberazione dei paesi occupati fino all’8 settembre 1943).
Per quanto riguarda la Resistenza avvenuta nel Meridione d’Italia, va considerato che si ebbero scontri tra italiani e tedeschi fin dai giorni precedenti l’armistizio. I primi episodi, considerabili, più che atti di Resistenza, fermenti di un motivato ribellismo civile, si ebbero in Sicilia nell’agosto 1943. Dopo l’armistizio, invece, numerosi furono gli atti di resistenza patriottica, individuale e collettiva, da parte di militari stanziati nelle diverse regioni del Mezzogiorno e nelle isole, dalla Sardegna, alla Puglia, alla Campania. Tuttavia, ancor più numerosi, furono gli atti catalogabili come Resistenza civile nata – in Basilicata, Puglia, Molise, Campania, Abruzzo – dalla reazione ai soprusi, alla violenza diffusa, alla brutalità degli ex alleati tedeschi e dei loro collaboratori fascisti. In alcuni casi, l’opposizione quotidiana sfociò in episodi di lotta armata – si pensi a Bosco Martese, nel teramano, dove il 25 settembre 1943 si ebbe una delle prime battaglie partigiane – e in vere e proprie insurrezioni, come avvenne a Lanciano, Matera, Bari, Napoli e in altri centri minori della Campania. Nelle sue varie forme e modalità, la Resistenza fu anche al Sud, nonostante i tempi ristretti dell’occupazione nazifascista, un fenomeno diffuso e sfaccettato. In esso vanno inserite anche importanti esperienze come quelle del Primo Raggruppamento Motorizzato, le rinate forze armate del Regno del Sud che, al fianco degli Alleati, affrontarono i tedeschi ai confini tra Lazio e Campania (dal Primo Raggruppamento sarebbe nato il Corpo Italiano di Liberazione). Ancor di più, l’epopea della Brigata Maiella, formazione partigiana abruzzese che combatté nel territorio d’origine ma anche nelle Marche, in Emilia Romagna e in Veneto. Infine, le brevi ma importanti repubbliche contadine nate, nll’autunno del 1943, in alcune aree interne della Campania, anticipatrici delle lotte per la terra del dopoguerra.
Al di là della grande vittoria di Napoli, però, questi atti di prima Resistenza – che avvennero contemporaneamente in più luoghi d’Italia, dal Mezzogiorno al Settentrione – non ebbero, di solito, fortuna. La reazione tedesca, spropositata e immotivata, fu atroce: ben 2.650 furono le vittime di stragi naziste e fasciste nei territori meridionali e insulari tra il luglio 1943 e il giugno 1944. Non tutti gli eccidi, tuttavia, furono una “reazione” alla resistenza delle popolazioni; moltissimi corrisposero esclusivamente all’esplicitazione di una precisa strategia di occupazione del territorio, all’interno del quale gli esseri umani – i civili, i militari disarmati, i partigiani inermi – non erano altro, per l’occupante, che ostacoli naturali da eliminare.

(fonte: La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione italiana (1943-1945), a cura di E. Fimiani, Firenze, Le Monnier, 2016)

clicca qui e visita “Associazione Nazionale Partigiani d’Italia”.

La Grande storia – 25 aprile 1945.